MAPPARE PLINIO

Opere d’arte nella Roma di età imperiale

Alessandro Poggio 

Published: june 2025 If you are interested in reading the complete contribution, see A. Poggio, Mappare Plinio. Opere d’arte nella Roma di età imperiale. In G. Adornato, E. Falaschi, A. Poggio (eds.), Περὶ γραφικῆς. Pittori, tecniche, trattati, contesti tra testimonianze e ricezione, Milano: LED 2019, 217 sgg. (DOI:https://dx.doi.org/10.7359/897-2019-pogg)

 

Il «prototipo di tutte le enciclopedie antiche e medievali»: così U. Eco definisce la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio nel suo saggio Vertigine della lista, in cui analizza il fenomeno dell’enumerazione in campo letterario e figurativo. In particolare, lo studioso annovera l’opera pliniana tra le liste di mirabilia (Eco 2009, 153).

Plinio il Vecchio, come ben noto, era un alto funzionario dell’Impero Romano, vissuto nel I secolo d.C. e in rapporti con Vespasiano, al cui figlio Tito dedicò la sua opera enciclopedica (Plin. Ep. 3.5.9; NH praef. 1). L’attrazione verso i mirabilia e una straordinaria curiosità rientrano appieno nel profilo tramandato dal nipote: Plinio il Vecchio, scorgendo da Miseno la straordinaria e devastante attività del Vesuvio del 79 d.C., ritiene che si tratti di un fenomeno da osservare più da vicino; a causa dell’eruzione perderà poi la vita nel portare soccorso alla popolazione colpita (Plin. Ep. 6.16). La sua fame di conoscenza emerge pienamente dall’opera superstite, la Naturalis Historia, una fonte inesauribile di informazioni, spesso per noi altrimenti perdute. Plinio, come attesta il nipote, era uno studioso indefesso, poco incline al sonno, meticoloso e – secondo la definizione di I. Calvino – «nevrotico collezionista di dati» (Calvino 1982, viii). Aveva a propria disposizione una squadra di persone che lo aiutavano in questa sua impresa.

Come sottolineato da G.B. Conte, sono prima di tutto i numeri a darci un’immagine del lavoro immane di Plinio: «ventimila, o forse trentaquattromila, le notizie trasmesse, e duemila i volumi letti, di cento autori diversi, racchiusi nei trentasette libri della Naturalis historia, e centossessanta i dossiers di schede preparatorie, scritte su due lati in minutissima grafia […]» (Conte 1982, xvii). Nella Naturalis Historia i numeri giocano un ruolo fondamentale: è stato osservato come la tendenza a fornire i numeri dei dati contenuti nei diversi libri riveli che per Plinio la natura sia conoscibile in quanto serie di fatti distinti elencabili e dunque quantificabili (Doody 2010, 24).

Questa ricerca intende dunque interrogare alcuni dati numerici relativi alle opere d’arte a Roma, deducibili dai libri della Naturalis Historia dedicati ai metalli (libro 34), alle terre (libro 35) e ai materiali lapidei (libro 36). Nonostante ci sia un margine di discrezionalità, a seconda dell’interpretazione e dei criteri scelti per fare un conteggio delle notizie pliniane, ritengo utile ritentare una quantificazione delle notizie contenute nei libri d’arte pliniani, usandoli come un vero e proprio database. Proprio i numeri ottenuti stimolano una nuova riflessione sul gusto di Plinio e del suo tempo, di cui qui do un primo resoconto. Nel presente articolo ripercorro quindi i vari criteri scelti da Plinio nella presentazione dei dati per poi illustrare il mio approccio quantitativo al testo e alcuni dei risultati ottenuti.

Fig. 1 – Incipit del libro 2 della Naturalis Historia, ms. V A 3. Napoli, Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III”

1.Liste pliniane

La composizione della Naturalis Historia rivela un progetto e una riflessione sulla sua elaborazione (Naas 2002, 170; Citroni Marchetti 2019). V. Naas (2002, 195-197) ha affermato che la Naturalis Historia è presentata come un’opera (opus), nel corso della quale l’autore fa riferimento a un ordine degli argomenti stabilito (ratio, ordo; Plin. NH 29.58; 34.91; 35.29; 37.1). Anche dal punto di vista della struttura e della successione degli argomenti, la materia dei 37 libri si dipana in una carrellata che dal più grande, il mundus, emblematicamente raffigurato nel capolettera dell’incipit del libro 2 del manoscritto di Napoli (Fig. 1), si concentra sul più piccolo, le pietre preziose; e poi ancora dall’elemento naturale a quello artificiale (Naas 2002, 200; Eco 2009, 153; Doody 2010, 27).

Regolatrici e garanti di questo ordine pliniano sono le liste di nomi di persone, luoghi, cose, che possono seguire diversi criteri, come dimostrano le liste di artisti e opere d’arte dei libri 34, 35 e 36: cronologico, alfabetico, tipologico, qualitativo, espedienti questi adottati singolarmente o combinati tra loro (Ferri 1946, 18; Coulson 1976b, 405; Naas 2002, 199). Nel libro 34, dedicato alla scultura in bronzo, per esempio, lo stesso Plinio (NH 34.53) dichiara il suo metodo: «Stabilita così la cronologia dei bronzisti più famosi, esaminerò rapidamente i nomi più celebri, trattando qua e là degli altri, che sono numerosi» (da ora traduzioni di Corso et al. 1988). Segue una rassegna di artisti elencati per ordine cronologico. La prima notizia riguarda il famoso concorso efesino delle Amazzoni: la testimonianza della sfida tra Policleto, Fidia, Cresila, Cidone e Fradmone – elencati in base al posizionamento nella gara – induce l’autore a riflettere come un episodio del genere mettesse a confronto personalità appartenenti a aetates differenti.

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Seguono quindi le schede dedicate ai singoli artisti e organizzate secondo un ordine cronologico: partendo dal V secolo a.C., Plinio comincia con Fidia, uno dei partecipanti di quella competizione, definito l’iniziatore della scultura in bronzo (Plin. NH 34.54), Policleto, colui che portò quest’arte alla perfezione (Plin. NH 34.56), Mirone (Plin. NH 34.57-58), Pitagora di Reggio (Plin. NH 34.59), Pitagora di Samo (Plin. NH 34.60), per poi menzionare lo scultore di IV secolo a.C. Lisippo: a questi, ai suoi allievi Laippo, Boeda ed Euticrate, e al discepolo di quest’ultimo, Tisicrate, Plinio dedica un excursus più lungo (Plin. NH 34.61-67). Rompendo questa serie cronologica, l’autore inserisce la trattazione su Telefane di Focea, scultore della prima metà del V secolo a.C. (Plin. NH 34.68; Dorandi 2019), per poi tornare al IV secolo a.C. e affrontare la produzione di Prassitele (Plin. NH 34.69-71). A Prassitele si lega Calamide: infatti Prassitele pose un suo auriga su una quadriga di Calamide perché non si ritenesse che questi fosse inferiore nella rappresentazione degli uomini rispetto a quella dei cavalli; questa notizia dà spazio ad alcune parole sulla produzione di Calamide stesso. Segue una nuova serie di artisti, organizzati questa volta in ordine alfabetico, rispettato, come ha sottolineato W.D.E. Coulson, solo per la prima lettera del nome (Coulson 1976a, 367). Un altro esempio di ordine semialfabetico si trova in Plin. NH 35.146. A proposito di questa pratica di rispettare l’ordine alfabetico non in maniera totale, Ferri (1946, 18) afferma che «[…] i nomi sono, generalmente e con qualche incertezza, disposti in ordine alfabetico” e lo definisce “ordinamento alfabetico senza pretese»: Alcamenes, Aristides, Amphicrates, Bryaxis, Boedas, Baton, Cresilas, Cephisodorus, Canachus, Chaereas, Ctesilaus, Demetrius, Daedalus, Dinomenes, Euphranor, Eutychides, Hegia, Hagesia, Isidotus, Lycius, Leochares, Menaechmus, Naucydes, Naucerus, Niceratus, P(h)yromachus, Polycles, Pyrrhus, Phanis, Styppax, Silanion, Strongylion, Theodorus, Xenocrates (Plin. NH 34.72-83). L’ordine alfabetico (o semialfabetico) è ampiamente utilizzato da Plinio in tutta la sua opera ed è stato considerato come uno degli indizi dell’attenta pianificazione dell’opera (Plin. NH 34.85; 34.86)). Esso è solo uno dei modi che l’autore ha a disposizione per organizzare la sua materia, come egli dichiara a proposito della sua esposizione sulle gemme nel libro 37: «Considerate per categoria di colori le gemme principali, tratteremo le rimanenti in ordine alfabetico» (Plin. NH 37.139). Questa tecnica di organizzazione della materia non è certamente di concezione pliniana: per quanto riguarda le notizie storico-artistiche, è stato proposto che l’ordine alfabetico sia derivato dall’opera di Pasiteles, un artista eclettico del I secolo a.C. di origine magnogreca che scrisse di nobilia opera (Plin. NH 36.39; Coulson 1976a, 363). Anche per quanto riguarda l’elenco di piante in ordine alfabetico del libro 27 è stata suggerita una derivazione da fonte greca (Plin. NH 27.4-142; Everett 2012, 71, n. 9). Per cercare di comprendere meglio il metodo di Plinio vanno però indagate a mio parere non solo le liste stesse, ma anche gli elementi di connessione. Se per l’ordinamento alfabetico Plinio il Vecchio prosegue una pratica già usata dalle sue fonti, è tuttavia probabile che egli avesse organizzato secondo questo espediente anche le notizie da lui raccolte nel suo archivio. Si è citato in precedenza il passaggio riguardo a Telefane, il cui riferimento spezza la sequenza cronologica degli appena menzionati insignes, pur facendo riferimento a tre di loro come termini di paragone per Telefane stesso (Policleto, Mirone e Pitagora). Non si può escludere che la menzione di Telefane rientri in quelle citazioni sparse di cui parla Plinio (raptim transcurram), ancorata allo snodarsi del discorso per prossimità alfabetica: Telefane infatti segue la notizia che riguarda Tisicrate, allievo di Lisippo (Sellers 1896, xxii-xxiii.). In altre parole, Plinio adotterebbe il metodo alfabetico non solo nelle parti che trae da altre fonti, ma anche nel proprio processo di cucitura delle varie notizie perché secondo questo criterio dovevano, almeno in parte, essere ordinate le sue schede. Questo metodo di lavoro si comprende meglio se si considera la famosa lettera del nipote Plinio il Giovane a Bebio Macro, assiduo lettore dello zio. Plinio il Vecchio adnotabat excerpebatque, un’attività incessante che gli permise di lasciare al nipote una quantità notevole di informazioni di grande valore: «Questa è l’applicazione che gli ha permesso di condurre a termine un così gran numero di opere e di lasciarmi centosessanta raccolte di citazioni, scritte su ambo i lati e con minutissima scrittura: circostanza che ne aumenta il numero. Egli riferiva che avrebbe potuto, mentre era procuratore in Spagna, vendere quella raccolta a Larcio Licino per quattrocentomila sesterzi, ed era allora meno cospicua» (Plin. Ep. 3.5.17 trad. di Rusca 2000; vd. Dorandi 1986; 2007, 29-46). Nella nostra epoca di commercio dei dati questo non appare strano, tuttavia quello che preme sottolineare è che tale patrimonio di conoscenza, per essere appetibile a una persona estranea come il giurista Larcio Lacinio, non doveva essere un semplice agglomerato di appunti, ma doveva aver assunto le caratteristiche di un vero e proprio archivio, in cui la rubricatura alfabetica poteva essere fondamentale per consentire, a chi lo consultasse, di potersi districare. A sua volta, questa organizzazione delle informazioni, dovette influire sul modo di concatenare gli argomenti, anche tramite la contiguità alfabetica dei nomi.

2.Plinio e le opere d’arte a Roma: criteri di selezione

L’importanza che Plinio dà alla quantificazione delle notizie contenute nella sua opera conferma una volontà di dominare la materia trasmettendone un’idea di finitezza: in base a queste considerazioni le liste di artisti e opere d’arte stilate da Plinio il Vecchio possono essere incluse nella categoria delle “liste pratiche”, ossia quelle che danno forma finita a una particolare realtà (Eco 2009, 115-117). Eppure Plinio ritiene che questa finitezza sia riduttiva e non riesca a rappresentare adeguatamente la grandezza di Roma e del suo impero, cosicché ricorre a un’immagine iperbolica:

«Ma questo è davvero il momento di passare alle meraviglie della nostra città, vedere la forza che ha manifestato nelle opere di pace nei suoi ottocento anni di esistenza, e mostrare che anche in questo ha trionfato sul mondo intero: apparirà chiaro che i trionfi sono quasi altrettanti quante le meraviglie di cui parleremo; se poi le raccogliessimo tutte insieme e le accumulassimo come in un solo mucchio, l’altezza di questo risulterà non meno imponente di quella che avrebbe la descrizione complessiva di un altro mondo» (Plin. NH 36.101).

Nel passo il concetto di finitezza non va perduto, ma l’imponderabilità della quantificazione dei miracula di Roma, veicolata dallo strumento retorico a vantaggio della gloria dell’impero e della sua capitale, porta il discorso a un livello per così dire poetico: in altre parole, il messag- gio politico-ideologico sottinteso – Roma come luogo di miracula che ne sanciscono il primato – travalica i limiti di liste e classificazioni (Rouveret 1987, 126; Edwards 1996, 99-101; Carey 2003, 72-73, 94).

Roma, in effetti, è uno dei punti focali della trattazione d’arte nella Naturalis Historia, i cui libri 34, 35 e 36 contengono numerose notizie su opere presenti nella città: l’Urbs compare nella sua bellezza e frenesia, i suoi spazi pubblici sono popolati di statue onorarie dei magistrati romani, di pitture e sculture degli artisti greci portate a Roma dalle città conquistate, nonché di decorazioni architettoniche (Adornato et al. 2018; Poggio 2020).

Un principio di base è quello della menzione delle opere d’arte a seconda del loro materiale: opere in lega metallica nel libro 34, opere create con le terre nel libro 35 e opere in materiale lapideo nel libro 36. Si fa un’eccezione quando nel libro 35, a proposito dei lavori in terracotta di Zeusi ad Ambracia, Plinio vuole enfatizzare come fossero sfuggiti al destino che invece colpì le celebri Muse portate a Roma da Marco Fulvio Nobiliore, dopo la presa della città d’Epiro nel 189 a.C.: dunque, le Muse bronzee vengono qui menzionate per così dire fuori posto (Plin. NH 35.66). Anche nel libro 36, a proposito del tempio di Giove Statore della Porticus Octaviae, Plinio viola la ripartizione per materiali e menziona le pitture a tema femminile dell’edificio sacro, senza però ricordare opere specifiche (Plin. NH 36.43).

Quanto ai criteri della presenza di notizie di opere d’arte a Roma nei diversi passi, se ne riscontrano diversi. Le opere d’arte possono essere comprese nel catalogo della produzione di un artista greco, per esempio Mirone:

«Mirone, nato a Eleutere, anch’egli discepolo di Agelada, è celebre soprattutto per la sua Mucca lodata in versi famosi (dal momento che per lo più gli artisti sono resi noti dal talento degli altri più che dal proprio). Ha fatto anche un Cane, un Discobolo, un Perseo, i Segatori, e il Satiro in ammirazione davanti al flauto e Minerva, gli Atleti del pentatlo delfico, i Pancratiasti, l’Ercole che è presso il Circo Massimo nel tempio dedicato da Pompeo Magno. Erinna ci informa nei suoi versi che egli fece anche un monumento rappresentante una cicala ed una cavalletta» (Plin. NH 34.57).

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Un ulteriore criterio che consente a Plinio il Vecchio di inserire notizie riguardanti le opere d’arte a Roma è quello strettamente topografico; in altre parole, l’autore riunisce le notizie riguardo a singoli complessi monumentali, dunque le opere elencate appartengono a cronologie differenti. Ne è un esempio la sezione dedicata ai monumenta di Asinio Pollione, un’importante collezione di età tardorepubblicana, ospitata in un edificio vicino al Foro, rifacimento dell’Atrium Libertatis (Plin. NH 36.33-34; LTUR 1.133-135, s.v. Atrium Libertatis). Oppure le notizie relative al complesso del Porticus Octaviae, rifacimento di età augustea della celebre Porticus Metelli, sorta alla metà del II secolo a.C. nell’area del Circo Flaminio per iniziativa di Metello Macedonico (Plin. NH 36.34-35; LTUR 4.130-131, s.v. Porticus Metelli; LTUR 4.141-145, s.v. Porticus Octaviae). È evidente la differenza tra questi due modi di organizzare le notizie relative a opere d’arte a Roma: nel caso della menzione nei cataloghi d’artista, è assai difficile costruire una visione d’insieme dei diversi complessi monumentali. Viceversa, nell’organizzazione secondo criteri topografici, i singoli contesti emergono con forza nella loro ricchezza e stratificazione, mentre si perde la connessione con il profilo dei singoli artisti. Un caso del tutto particolare è rappresentato dalla digressione sulle opere d’arte a Roma che non possono essere attribuite a un preciso artista (Plin. NH 36.27-29). Si tratta di una sezione che si apre col celebre passo sulla multitudo operum a Roma, sulla loro obliteratio nello spazio urbano e sulla distrazione degli abitanti dell’Urbs; di seguito Plinio menziona opere di artisti non identificati (ignoratur artifex; sine auctoribus) oppure sculture la cui attribuzione oscilla tra Scopas e Prassitele (Plin. NH 34.93 Hercules tunicatus; vd. Kuttner 2016). È evidente che questa sezione sulle opere di incerta attribuzione abbia una sua autonomia, tuttavia il suo posizionamento nel testo non appare casuale. Infatti, Plinio lo colloca tra la trattazione monografica su Scopas e le sue opere, e il passo che inizia con le parole Scopas habuit aemulos (Plin. NH 36.30), incentrato sul Mausoleo di Alicarnasso, alla cui realizzazione aveva parteci- pato Scopas stesso. Pertanto, proprio l’incertezza tra Scopas e Prassitele giustifica l’inserzione di questa sezione sulle opere di incerta attribuzione all’interno di un discorso più ampio su Scopas. Questa digressione mostra dunque lo sforzo di raccogliere e connettere informazioni sparse su un problema specifico, quello delle opere senza attribuzione certa, in cui il minimo comune denominatore è la loro presenza negli spazi pubblici della Roma imperiale.

Fig. 2 – Giovanni Battista Piranesi, Ichnographia del Campo Marzio (1757). New Haven, Yale University Art Gallery

3.Mappare Plinio

Un aspetto da sottolineare riguarda il carattere topografico delle informazioni pliniane qui analizzate. È indubbio che l’ancoraggio di queste notizie a complessi monumentali generalmente ben conosciuti dal punto di vista topografico costituisca un elemento di notevole interesse per le nostre conoscenze dell’Urbs di età imperiale. Già a partire dal XIX secolo gli studiosi hanno infatti sottolineato lo spiccato approccio topografico dell’autore della Naturalis Historia parlando di “museografia” pliniana (Jacobi 1884; Sellers 1896, xci-xciv; Ferri 1946, 15). D’altra parte, dal punto di vista dello studioso e del lettore moderni, emerge la difficoltà di gestione e fruizione di tale quantità di notizie attraverso gli strumenti tradizionali.

Una delle soluzioni più utilizzate per ottenere un’immagine complessiva delle opere presenti nella città di Roma, considerando anche la fonte pliniana, è stato il tentativo di coniugare la cartografia, tradizionale strumento di rappresentazione spaziale in scala, con la localizzazione dei monumenti testimoniati a Roma dalle fonti antiche. Un celebre esperimento, che sfrutta le notizie pliniane, ma non solo, fu quello di G.B. Piranesi (1720-1778), incisore veneto che fece dello studio delle antichità di Roma e della rappresentazione della magnificenza dell’Urbs, il maggior scopo della sua produzione artistica (Rossi 2016): dopo i quattro volumi de Le Antichità Romane (1756-1757), in cui Piranesi si cimentò nella “archeologia ricostruttiva” (Connors 2011, 132), nel 1762 uscì il volume intitolato Campo Marzio.

Quest’opera erudita fu di primaria importanza non solo per l’apparato grafico, ma anche per il testo a corredo, in doppia lingua, italiano e latino. Era composta da una descrizione dell’area con un catalogo di monumenti e relative fonti letterarie, tra cui proprio Plinio, e da diverse incisioni, tra queste la celebre Ichnographia, una pianta datata 1757 in cui Piranesi integrò con proprie ricostruzioni quello che conosceva dell’antica Roma (Fig. 2); Piranesi si ispirò in particolare a due precedenti, uno più remoto, la pianta di L. Bufalini (1551) e quella più recente di G. Nolli (1748). Va inoltre ricordato che nel 1562 vennero scoperti i frammenti della Forma Urbis di età severiana, una pianta marmorea dell’inizio del III secolo d.C. (Connors 2011, 142-143; Pinto 2012, 132-146; The Nolli Map Website: http://nolli.uoregon.edu/default.asp <14 settembre 2019>). Quello che qui mi preme sottolineare è che in questa pianta Piranesi localizzò diverse statue citate dalle fonti tramite ele- menti quadrangolari, corredati da didascalie: ai nostri occhi il volume potrebbe apparire come una sorta di database (Connors 2011, 138). Più recentemente, si può citare il volume di A. Bravi, Ornamenta Urbis, pubblicato nel 2012, che si propone di contestualizzare semanticamente le opere d’arte greche a Roma, utilizzando varie fonti tra cui Plinio. Qui le planimetrie di complessi monumentali sono rielaborate in maniera tale da localizzare le opere d’arte greche a Roma menzionate dalle fonti (Fig. 3; Bravi 2012).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 3 – Collocazione ipotetica delle opere greche nel complesso di Pompeo a Roma (Bravi 2012).

  1. Statua di Venus Victrix
  2. Culto di Honos e Virtus
  3. Culto di Felicitas
  4. Culto di Victoria
  5. Statue raffiguranti donne autrici di parti eccezionali: ostenta
  6. Frons scenae: statue di Muse e di Apollo
  7. Statue di Etere e Poetesse
  8. Statue di Etere e Poetesse
  9. Quadro di Nicia raffigurante Alessandro Magno
  10. Quadro di Polignoto raffigurante un guerriero che espugna una città
  11. Quadro di Antifilo raffigurante Cadmo ed Europa
  12. Quadro di Pausia raffigurante il sacrificio dei buoi

Nello stesso anno usciva l’Atlante di Roma Antica, curato da A. Carandini con P. Carafa, il cui sottotitolo Biografia e ritratti della città esplica la finalità di illustrare lo sviluppo urbano dell’Urbs nelle sue diverse fasi. Le tavole con le planimetrie delle aree e dei monumenti di Roma antica visualizzano la complessità e la ricchezza di un insieme articolato di dati, dalle evidenze archeologiche alle fonti letterarie (Fig. 4; Carandini 2012).

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In considerazione di questa lunga tradizione, alla quale qui ho solo accennato attraverso pochi esempi, e alla luce dei recenti sviluppi delle digital humanities, ho avviato un lavoro di georeferenziazione delle notizie pliniane. Ho quindi creato un database georeferenziato tramite QGis delle notizie di opere d’arte a Roma testimoniate da Plinio il Vecchio nei libri 34-36, nucleo di partenza del progetto Mappare Plinio / Mapping Pliny. Si tratta di uno strumento di ricerca interrogabile, che permette di arricchire i dati statistici con relazioni spaziali: per esempio è possibile visualizzare la distribuzione di opere negli spazi pubblici di Roma; a questa ricerca se ne può combinare un’altra per tipologia, visualizzando le mappe di distribuzione di pittura, scultura in marmo e in bronzo pertinenti a un determinato periodo. L’esplorazione del dato spaziale in questo contesto è rilevante se combinata con informazioni come il committente e le fasi cronologiche di un complesso monumentale. Ovviamente, mappare Plinio significa avere un’immagine parziale della Roma di età imperiale, dato che talvolta abbiamo la possibilità di considerare più fonti su un singolo complesso monumentale, come dimostra il tempio di Apollo Palatino. In questo caso si possono integrare le informazioni di Plinio con i versi di Properzio (Prop. 2.31; vd. Zanker 2014). I due autori hanno priorità differenti: il poeta di età augustea descrive le diverse parti del complesso dedicato ad Apollo a esaltazione del dio e di Augusto, con un effetto di avvicinamento progressivo al tempio; per l’autore della Naturalis Historia, invece, sono gli artisti greci a rivestire un ruolo di primario interesse, dato che le notizie sul complesso sono disseminate nelle sezioni dedicate ai singoli maestri. Combinare le testimonianze di diversi autori riguardo al medesimo contesto è certo fruttuoso per la più approfondita conoscenza possibile di un dato monumento, tuttavia qui interessa sottolineare quanto sia parlante la selezione di notizie fornite dai singoli autori, che permette di individuarne priorità e prospettive.

Fig. 4 – Roma, Regione VIII, Foro Romano, 213-117 a.C., dettaglio (Carandini 2012).

4.Numeri pliniani

Il database di Mappare Plinio/Mapping Pliny si basa su un nuovo spoglio completo delle notizie di opere d’arte a Roma nei libri 34, 35 e 36 della Naturalis Historia e combina diverse informazioni: opera; artista; dato topografico; posizionamento all’interno del testo; tipologia dell’opera; cronologia. Del database appena menzionato, mettiamo in luce in questa sede solo un caso studio relativo alle cronologie trattate da Plinio. Uno dei modi in cui gli studiosi hanno provato a sistematizzare queste informazioni è stata la costruzione di elenchi schematici e tabelle, come nel caso di M. Pape e G. Gualandi (Pape 1975, 143-215; Gualandi 1982, 279-298; vd. Cultura ellenistica 1977, I-V Tabella: Quadri di pittori greci esistenti a Roma): questi strumenti rendono consultabili un gran numero di dati che rispondano a parametri fissi, proprio come nel caso pliniano.

Oggi, la costruzione di una tabella tramite foglio di lavoro Excel, come ho fatto in questo caso, può creare uno strumento più duttile che si presta a essere interrogato agevolmente. Ci sono certamente delle avvertenze nell’interpretazione dei dati desumibili da uno spoglio completo delle notizie d’arte di Plinio. Prima di tutto, anche se, come ho detto, le liste pliniane sono tendenzialmente finite, permangono tuttavia elementi di indefinitezza: per esempio, sul fronte della quantificazione, Plinio afferma che opere di Bupalo e Ateni si trovavano in quasi tutti i templi fatti erigere da Augusto, senza però una precisa determinazione al di fuori delle statue poste sulla sommità del tempio di Apollo Palatino (Plin. NH 36.13).

Sul fronte della collocazione topografica, invece, bisogna tener conto di indicazioni suscettibili di diverse interpretazioni; per esempio, non appare del tutto chiaro che cosa sia da includere nell’affermazione: «Di tutte le opere che ho citato, tutte le più famose sono oggi a Roma, dedicate dall’imperatore Vespasiano nel tempio della Pace e negli altri edifici che ha fatto erigere […]» (Plin. NH 34.84; vd. Dorandi 2019). Infine, talvolta non è facile desumere le datazioni delle opere citate da Plinio. Tuttavia, pur tenendo in considerazione queste avvertenze e un certo grado di approssimazione, è possibile evidenziare dati e tendenze, a mio avviso significative, che emergono dalle liste pliniane.

Fig. 5 – Libri 34, 35 e 36 della Naturalis Historia: notizie relative a opere con datazione certa esposte a Roma, ripartite in base al periodo.
Fig. 6 – Libri 34, 35 e 36 della Naturalis Historia: artisti menzionati come autori di più di un’opera esposta a Roma.  

Le notizie di opere d’arte presenti a Roma nei libri 34, 35 e 36 sono più di duecento, distribuite in maniera abbastanza bilanciata sui tre libri, con una prevalenza del libro 36: i libri 34 e 35 contengono circa il 33% delle notizie, il libro 36 circa il 34%; questa differenza sembra determinata dalla trattazione di più tipologie di opere in materiale lapideo (Detlefsen 1901, 76; Becatti 1951, 218.). Questi dati includono tutte le opere localizzate a Roma che i tre libri menzionano. Il fatto che in ciascun libro sia trattato un numero pressoché uguale di opere individuate a Roma fa supporre una selezione a monte da parte di Plinio, mentre sembra improbabile che questo rispecchi una reale proporzione della tipologia di opere presenti nell’Urbs.

Da un punto di vista cronologico, se si adotta una ripartizione per secoli, si può constatare che il IV secolo a.C. è il più rappresentato: tra le opere di cui è possibile stabilire una datazione, circa il 40% è riferibile al IV secolo a.C.; II secolo a.C. e I secolo a.C. rappresentano ciascuno circa il 14% delle opere sicuramente datate; segue il V secolo a.C. con circa il 12% (Fig. 5). Di conseguenza, gli artisti a cui vengono assegnate il maggior numero di opere a Roma sono quelli vissuti nel IV secolo a.C.: Prassitele in testa a tutti, e poi ancora Scopas per la scultura, Antifilo, Nicia e Apelle per la pittura (Fig. 6).

5.Conclusioni. La preponderanza di opere di IV secolo a.C. nella Roma pliniana

Tra i dati emersi uno è particolarmente interessante per il tema del presente volume: la netta preponderanza di opere di IV secolo a.C. nella Roma rappresentata da Plinio il Vecchio. Qui non interessa tanto rilevare se effettivamente la Roma imperiale fosse una città ornata in proporzioni maggiori con opere di questo periodo o se le opere menzionate dall’autore risalissero realmente al periodo dichiarato; piuttosto, è significativo rilevare l’immagine dell’Urbs che Plinio ci restituisce: una città in cui più di un terzo delle opere d’arte risale al IV secolo a.C. ed è prevalentemente riferito ad artisti greci. Se non si considerano le opere di datazione incerta o sconosciuta, questo dato cresce fino a quasi la metà delle opere ricordate.

La Naturalis Historia è frutto di una faticosa opera di collazione che Plinio effettua con le sue numerose fonti, alcune delle quali consideravano il IV secolo a.C. il culmine dell’evoluzione biologica dell’arte (Harari 2000). Il ruolo giocato dall’arte di IV secolo a.C. nei libri pliniani qui considerati doveva essere, dunque, condizionato dalla celebrazione di questo periodo con una conseguente maggiore disponibilità di dati rispetto agli altri periodi. Pertanto, si potrebbe vedere nella Roma pliniana un’eco delle valutazioni di qualità artistica che Plinio utilizza (Adornato 2019, 576-577). Questo aspetto è sicuramente cruciale, ma sarebbe certamente riduttivo interpretare il ruolo di Plinio come semplice rielaboratore di fonti e trasmettitore di notizie redatte in precedenza. È infatti significativo che i numeri pliniani emersi nel presente lavoro supportino il ruolo fondamentale che la critica moderna ha riconosciuto all’arte di IV secolo a.C. nella costruzione del linguaggio figurativo di età imperiale: «Le forme di rappresentazione ellenistiche, limitate ad alcuni temi, continuarono dunque a circolare anche a Roma; ma nel complesso furono le tradizioni del V e IV secolo a guadagnare il sopravvento […]» (Hölscher 1993, 43, 50-54; vd. La Rocca 2013).

Questa consonanza sull’importanza del IV secolo a.C. tra testo pliniano e critica storico-artistica può trovare una spiegazione con il fatto che Plinio vive e si muove a Roma: «Ma d’altro canto Plinio, che vive in Roma intorno alla metà del I secolo, quando la città era nel pieno fiore monumentale e artistico, colma di opere d’arte frutto di tante guerre fortunate, non poteva non conoscere questi tesori e riceverne una qualche impressione» (Becatti 1951, 218; Citroni Marchetti 2019). Dunque, in una certa misura, i libri pliniani possono riflettere una reale tendenza del linguaggio figurativo di età imperiale a privilegiare un certo periodo dell’arte greca. A questo proposito, mi pare significativo osservare come anche Plutarco, erudito greco vissuto tra la seconda metà del I secolo d.C. e gli inizi del II secolo d.C., mostrasse una propensione per la pittura tardo-classica e del primo ellenismo (Falaschi 2019). Plinio il Vecchio e Plutarco, pur appartenenti a generazioni diverse, condivisero – da prospettive differenti – lo stesso clima culturale, quello di un impero in espansione che aveva ormai assorbito e fatto propria la cultura greca; per di più, i loro passi si incrociarono a Roma, visto che Plutarco risiedette nell’Urbs tra il 75 e il 79 d.C., gli ultimi anni di vita di Plinio (Scheid 2012, 12-13; Stadter 2014; Falaschi 2020). In altre parole, nella valutazione dei numeri pliniani, non si può tralasciare l’esperienza diretta dell’autore, il quale si inserisce in un contesto preciso e ha senz’altro delle preferenze.

Per comprendere meglio questa lettura del testo pliniano è forse utile un parallelo con l’età moderna: le scelte di Giorgio Vasari, autore delle celebri Vite degli artisti, sono determinate non solo da aspetti contingenti, quali la maggiore disponibilità di informazioni per determinate aree e cronologie, ma anche da scelte consapevoli dettate da preferenze personali, orientate alla creazione di un sistema storico-geografico gerarchizzante e relativizzante (Barocchi 1984; Nova 2010; Conte 2017). Un’analoga combinazione di fattori potrebbe essere stata alla base delle scelte pliniane I dati numerici esposti in questa sede, in accordo con lo spirito pliniano, riescono per così dire a quantificare l’attenzione di Plinio il Vecchio verso l’arte del IV secolo a.C. e ci danno importanti indizi sulla cultura a lui contemporanea. L’analisi fin qui proposta, inoltre, suggerisce che un testo ampiamente studiato come la Naturalis Historia possa ancora essere proficuamente interrogato anche grazie agli strumenti informatici odierni.

Approfondimenti bibliografici

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